3 agosto 2004. 

In Ciad da poco più di una settimana.

Riappropriarsi di gesti conosciuti. La zanzariera intorno al letto. Il filtro per l'acqua. I bidoni per la scorta, quando acqua non ce n'è.

L'elettricità che va e viene. Le strade piene di buchi. Il sudore sulla pelle, tanto.

Tanti animali che parlano durante la notte. Il muezzin che mi sveglia alle cinque di mattina.

Il sole, il verde, i profumi. I meravigliosi eucalipti, le buganville, i manghi, i banani, le papaie,...

Ma questa volta internet è più facile. Non avevo mai vissuto in Africa con questo accesso alla rete. Così, riesco ad avere notizie e immagini del mondo appena salutato. Anche della mia città, di Cofferati e del nuovo consiglio comunale. Del Festival del Cinema di Venezia. Posso vedere le foto del concerto di Simon e Garfunkel al Colosseo, così come quelle per le celebrazioni del 2 agosto, a Bologna.

Il mondo è più piccolo?  Forse. Devo dire che internet aiuta. Mi sento meno lontana. Meno scissa tra due mondi. Mi piace questo potere delle comunicazioni. Anche per la gente di qui. Ormai è diffusissimo il cellulare, e là dove prima si parlava solo via radio, o lettere che arrivavano chissà quando, o facendo km a piedi, adesso arriva un'antenna... e via: il mondo è connesso! Ci si può parlare anche tra parenti in mezzo al deserto, o nella savana, che prima sembrava lontana anni luce dalla città.

Non ho la tv. Ascolto RFI, Radio France International, che ogni mezz'ora manda le notizie dal mondo. (...Che certo non si hanno stando in Italia!).

Cerco di avventurarmi alla conoscenza di questo grande paese (4 volte l'Italia), di cui quasi tutti mi chiedevano dove fosse. Qualcuno addirittura non lo aveva mai sentito. Mi chiedo perché in Italia la maggior parte della gente sia tanto ignorante sull'Africa. Ignorante per scelta, voglio dire. E anche se si pensa di saperne qualcosa, poi si fa di tutta l'erba un fascio, come se Kenya e Senegal fossero uguali, o Angola e Congo. Come se non si avesse idea delle differenze tra popoli di pastori, di agricoltori, o di cacciatori e raccoglitori. Come se non vi fosse differenza di lingue, di storie coloniali, e dei relativi strascichi. Ora scopro un altro paese, e trovo così tante nuove differenze dai paesi dove sono già stata. E non ho visto che poche cose, per pochi giorni. Del resto, è stata anche l'ignoranza che vivo costantemente in Italia, che mi ha fatto decidere di tornare via... La piccolezza di tanta gente, che non vede oltre il proprio naso, e si arroga ciononostante il diritto di criticare costantemente tutto e tutti. Che stanchezza! Mi dispiace prendere atto che il mio paese continua ad essere così mediocremente gretto, legato ad avventure da Grande Fratello, e nient'altro o quasi. Basta (e occorre) varcare un confine, per rendersene conto.

Meditazioni a parte sull'italianità, qui sto bene. Ho degli ottimi colleghi, degni di stima (che non è mai da dare per scontato, vista la fauna che circola nel mondo della cooperazione) e una bella casa con un ampio giardino che offre asilo a due cani, una tartaruga gigante, una gru coronata. che è l'emblema della bandiera ugandese. Questa, poveretta, ha un'ala ferita, così non può più volare, e resta in questo giardino a subire le angherie di uno dei cani (giovane) che si diverte a correrle dietro facendole paura, così lei salta sulle sue lunghe zampe e starnazza come un'isterica! Oltre allo zoo, il giardino ospita anche dei bellissimi alberi, tra cui un'acacia e un eucalipto, e di questo verde avevo davvero bisogno, stando in Italia. Qui si può vivere all'aperto gran parte della giornata, e soprattutto la sera, quando fa meno caldo, è bellissimo stare fuori. Nonostante le zanzare!

La città, N'Djamena, come mi avevano detto è una grande villaggio. Case per lo più basse, molte strade non asfaltate. E' molto estesa, visto che conta circa un milione di abitanti, e in gran parte si allunga sulla sponda del bellissimo fiume Chari. Largo, placido, con tante piroghe di pescatori. In città il fiume si incontra con il Logone, che corre più a ovest e separa il Ciad dal Camerun, e infine l'acqua dei due fiumi va a gettarsi nel lago Ciad. Di questo lago, ho ricordi lontani, ancora di quando si studiava geografia alle elementari (!) e la maestra ricordo bene che ci raccontava dell'importanza di queste acque. Le sole così vaste, nell'immensità del deserto sahariano. E ricordo che ci aveva detto che su questo lago era un'isola, abitata solo da pochi pescatori. Come faccio a ricordarmelo? Non lo so. Ma so che l'ho sempre avuta in mente, quell'isola. E ora ci sono così vicina. Prima o poi cercherò di andarci. Non è facile. E' un lago che subisce grandi cambiamenti di cubatura tra la stagione delle piogge e la stagione secca. Può essere quindi più o meno esteso anche per centinaia di metri. Certe zone sono completamente paludose, e non si arriva con l'auto. Inoltre, siccome è condiviso tra ben 4 paesi (Ciad, Camerun, Nigeria e Niger) è una zona di traffici notevoli, quindi presidiata dai militari. Insomma, bisogna andarci ben attrezzati, con guide eccetera. Ma mi sto già informando, ovviamente!

In città ho visitato diversi centri con i quali avrò a che fare per il mio lavoro. Ho trovato cose estremamente interessanti, e gente di una grande preparazione culturale e professionale. Visto il quadro di grande povertà che mi era stato fatto, mi ero aspettata una maggiore arretratezza. Probabilmente anche perché confronto inevitabilmente con le mie esperienze precedenti, che però erano di paesi in conflitto da anni, quindi il livello di povertà culturale era ben più ampio, e cronicizzato. Qui ho già incontrato ciadiani molto politicizzati, con lauree non solo tecniche ma anche in antropologia, sociologia, ecc.  e va da sé che trovo molte più cose da dire con loro... che con tanti colleghi italiani! Ho notato subito una società civile molto attiva, una forte coscienza politica, e lotta per la democrazia e i diritti civili. Cose che in parte trovo sempre molto forti un po' in tutta l'Africa occidentale francofona.

Tra i vari centri visitati, le organizzazioni e le biblioteche, che appaiono come organismi assolutamente laici e indipendenti, non ha potuto non colpirmi il verificare che molte cose sono state fondate, anni addietro, dai gesuiti. Non lo si direbbe, viste oggi. Questo mi porta a sottolineare ancora una volta come non si possa mai generalizzare, su nulla, soprattutto quando si parla con scarsa conoscenza delle cose. Mi riferisco al fatto che spesso mi sono trovata a parlare con gente che per partito preso è anticlericale, e così accusa chiesa-e-missione come fosse un tutto unico, facendo processi alla storia inutili ma spesso anche sbagliati. I missionari nel mondo sono milioni, e anche tra di essi, si può trovare di tutto. Una cosa e il suo contrario. Ci sono i bussiness men, i donnaioli, i sempliciotti, gli intellettuali plurilaureati, i vecchierelli, ... e tra questi ci sono quelli che fanno un lavoro stupendo. Quello, soprattutto, che nessun altro fa. Neppure le ong. Neppure i grandi finanziatori internazionali, UE e ONU in testa, che guardano a ben altro, e che generalmente arrivano a dare il loro appoggio finanziario solo dopo che qualcuno si è già sbattutto da solo per anni. Lo si voglia o no, purtroppo in gran parte dell'Africa è ancora così: se non ci sono le scuole delle missioni, non ci sono scuole. E se quei bambini possono sperare di cambiare il loro futuro di miseria annunciata, è solo grazie alle missioni. Inutile disquisire se le missioni chiedono o no di essere battezzati (cosa NON vera nella maggior parte dei casi, e vanno in quelle scuole anche tanti musulmani, nonché animisti) o se fanno o meno proselitismo contro l'uso del profilattico per prevenire l'AIDS (anche questa è una cosa soggettiva, che va al di là delle indicazioni della Chiesa romana). Sta di fatto che se oggi in questo e in molti altri paesi ci sono quadri con lauree anche da far invidia a noi italiani, in moltissimi casi è perché quei bambini nei loro villaggi sono stati aiutati da una missione, alfabetizzati, e faticosamente sono riusciti andare avanti, nonostante l'assenza dello Stato.

Ciò che mi secca di più, ancora una volta, è la tanta ignoranza con cui  spesso ho sentito persone parlare contro le missioni, senza che mai vi avessero messo piede, o avessero conosciuto dei missionari ! Solo così, per partito preso. Per sentito dire, di questo e di quello. Come uno che dice di non amare la cucina cinese, e tutto ciò che conosce della cucina cinese (paese vasto quanto un continente) lo ha assaggiato ...in un ristorante-bettola sulle Ande peruviane. (I ristoranti cinesi, si sa, sono dappertutto: anche qui a N'Djamena!).

A proposito di cucina. Qui ancora non ho assaggiato nulla di particolarmente indigeno. Naturalmente sono riuscita ad avere ugualmente le classiche crisi intestinali "del viaggiatore". Però noto con piacere che si trova uno yogurt meraviglioso (non ci speravo davvero!) e persino del buon prosciutto cotto. Vista la mia tenera età, ammetto che mi rincuora sapere di poter contare su sapori conosciuti. Non ho più la plasmaticità stomacale dei vent'anni!

Per ora mi fermo qui. Buone cose e a presto, Silvia